Quando la burocrazia ‘uccide’ lo sport

Kings League

A Barra lo sport è fermo. Da oltre due anni un campo perfettamente agibile resta chiuso, sbarrato non dall’incuria o dal vandalismo, ma da una burocrazia che non risponde. Una storia che parla di ritardi amministrativi, competenze rimpallate e, soprattutto, di bambini e ragazzi privati di uno spazio fondamentale di crescita, educazione e socialità.

Un campo ristrutturato e poi abbandonato

Il campetto della scuola Madre Claudia Russo – Solimena, nel cuore di Barra, era stato ristrutturato e riqualificato nel 2016 grazie alla collaborazione tra il Comune di Napoli e l’Associazione Polisportiva Partenope. Non un semplice intervento strutturale, ma un progetto più ampio: creare un presidio sportivo ed educativo stabile in un quartiere che da sempre chiede opportunità concrete per i giovani.

Al termine dei lavori, il campo era stato concesso in comodato d’uso gratuito per nove anni alla scuola, con l’obiettivo di garantire uno spazio sicuro, regolamentato e aperto alla comunità. Un modello virtuoso, che ha funzionato per anni.

Rugby, inclusione e alternative al disagio

Grazie a un protocollo d’intesa con la Partenope, il campo è diventato un punto di riferimento per decine di ragazzi di Barra. Allenamenti regolari, tornei, attività sociali, percorsi educativi: il rugby come strumento di inclusione, rispetto delle regole e crescita personale.

Per molti giovani quel campetto ha rappresentato un’alternativa concreta alla strada, un luogo dove imparare a stare insieme, a rispettare gli altri e sé stessi. Un presidio silenzioso ma fondamentale in un territorio complesso, spesso raccontato solo attraverso le sue difficoltà.

Il silenzio delle istituzioni

Prima ancora della scadenza naturale del comodato, la scuola – in pieno accordo con la Partenope – ha presentato regolare richiesta di rinnovo agli uffici competenti del Comune di Napoli. Una procedura ordinaria, che avrebbe dovuto garantire continuità al progetto.

Da quel momento, però, il nulla. Nessuna risposta ufficiale, nessun atto formale, solo un continuo rimpallo di competenze tra assessorati. Risultato: il campo chiuso, nonostante fosse pienamente agibile e funzionante.

Sono passati due anni e, nel frattempo, il quartiere ha perso uno spazio vitale. La Partenope ha continuato le proprie attività altrove, adattandosi a nuove sedi, ma Barra è rimasta senza uno dei suoi pochi presidi sportivi strutturati.

Quando la burocrazia diventa un danno sociale

Quella di Barra non è solo una vicenda amministrativa. È una storia che solleva una domanda più ampia: quanto pesa la burocrazia quando diventa immobilismo? Ogni mese di chiusura non è solo un cancello serrato, ma un’occasione persa per decine di bambini.

In quartieri dove lo sport non è un lusso ma una necessità, lasciare chiuso un campo significa togliere un’opportunità educativa, aumentare il senso di abbandono e rafforzare la distanza tra istituzioni e cittadini.

Barra non chiede miracoli, ma risposte

Non servono nuovi progetti o grandi annunci. A Barra basterebbe una firma, una risposta ufficiale, un atto amministrativo che sblocchi una situazione paradossale. Il campo esiste, è pronto, ed è già stato dimostrato che funziona.

Restituirlo ai ragazzi del quartiere significherebbe restituire fiducia, non solo nello sport ma nelle istituzioni. Perché un campo aperto è molto più di un rettangolo di gioco: è un segnale di presenza dello Stato, un investimento sul futuro, una scelta politica nel senso più nobile del termine.

Dopo due anni di silenzio, Barra aspetta ancora. E continua a pagare il prezzo di una burocrazia che, invece di garantire diritti, li sospende.