Diego Armando Maradona lo immagino ancora così, seduto su un divano in un grande salone che affaccia sul Golfo di Napoli, poco prima dell’alba, quando la giornata inizia e tutto il mondo intorno tace. I primi raggi del sole entrano in casa e scandiscono il ritmo della giornata, ancora lento, in attesa di un caffè che possa dare senso a tutto quel pensare. Niente occhi indiscreti, nessun fotografo, nessuna incombenza. Solo un tavolino con i fogli degli ultimi giornali sportivi e un pallone, pronto a ricordare i vecchi tempi con qualche palleggio perché di più, tra le mura di casa, proprio non si può. Quello scorcio fa da molla per tutti i ricordi più belli, le notti insonni alla ricerca di svago, l’entusiasmo di un popolo in festa, così come la quiete che solo l’incontro del mare, del cielo e del Vesuvio sanno regalare. “Come mi manca tutto questo”, pensa Diego, che in un giorno particolare, aspetta due amici altrettanto speciali a fargli compagnia.
Diego armando maradona, Pino e Massimo
Sono le 6.30 e in casa c’è il primo spiraglio luminoso. Eppure le tenebre non gli hanno mai fatto paura, anzi: lo facevano sentire al sicuro, molto più Diego di Maradona. Oggi però è un giorno diverso: da cinque anni non è più tornato nei luoghi del cuore, seppur sia in ottima compagnia. Pino e Massimo sono amici fidati, con i quali ha condiviso un lungo pezzo di strada a Napoli e anche del destino. Non è un caso che aspetti proprio loro per una chiacchiera sincera, un po’ di musica e, perché no, un pensiero per i campioni d’Italia in carica. Attendeva una bussata di campanello e invece no, la chitarra di Pino ha annunciato spontaneamente il loro arrivo, aprendo la porta prima del tempo. “Che meraviglia quest’alba sulla città”, dice spontaneo Massimo, con gli occhi che brillano di bellezza. “Sai quante ne ho viste negli anni azzurri e ognuna era diversa, così come l’affetto delle persone che hanno accompagnato il mio viaggio tra scudetti, vittorie e qualche difficoltà”, risponde Diego, con i ricordi che, veloci, scorrono nella mente. “Non è tempo di essere tristi oggi, prendiamo la chitarra e intoniamo qualcosa” perché come sempre spetta a Pino l’arduo compito di unire le loro emozioni tra note e suggestione.
Napule è la gioia dei tifosi agli scudetti azzurri di Maradona
“Diego, cos’è per te Napoli?” Quante volte hanno ripetuto questa domanda e ancora riecheggia nella mente, con le infinite risposte di coloro che lo venerano come il più umano degli dei, il protettore della città, colui che ha sconvolto le gerarchie sportive combattendo i poteri forti e portando in alto il nome di Partenope. “Napoli è tutto, è il primo pensiero la mattina quando ti svegli e l’ultimo prima di andare a dormire. E’ come uno scugnizzo che sai che ha bisogno di affetto ma anche che ce la può fare benissimo da solo, resiliente, creativo, generoso. Napoli è la gente, è la gioia dei tifosi quando abbiamo vinto gli scudetti e hanno scritto sul muro del cimitero “E che vi siete persi”. Napoli è fonte di riscatto, è protezione: tra le sue braccia ti senti al sicuro, umile, compreso, indifeso. E’ una carta sporca e nisciuno se ne importa ma è stata tutto, vita, amore”.
Pe’ ‘nu mumento te vuò scurdà che hai bisogno d’alleria, quant’e sufferto o ssape sulo Dio
Oltre le vicende sportive, c’è stato un Maradona che ha avuto bisogno proprio di quella alleria tanto cantata e invocata da Pino Daniele, inglobato nel suo personaggio pubblico e che non è riuscito a separarlo dalla fragilità di essere un uomo con le sue debolezze e i suoi limiti. “Quant’e sufferto o ssape sulo Dio” ed era il campo a donargli il sentimento più bello della libertà di essere spensierati, per almeno 90 minuti di gioco. Il pallone è stato sempre stato il suo più grande amico, confidente, alleato, fonte di grandi gioie ma anche patimenti. Non è un caso che i tifosi si attendessero sempre tanto, troppo da lui e sapeva come ripagarli tra punizioni pennellate nel sette, gol funambolici e colpi da maestro, di una bellezza irripetibile. Ma i patimenti del cuore quelli no, non trovavano pace e lontano da Napoli hanno spesso preso persino il sopravvento.
Ossaje comme fa o’ core quando incontra la Mano de Dios
Tra una risata, un racconto e uno stornello, la giornata scorre veloce e ogni ricordo, ogni pensiero al cielo è una fiammella che illumina e scalda il cuore. “Sarei voluto tornare a Napoli un’ultima volta, per salutare la mia gente, il mio popolo, ringraziarli ancora di tutto questo amore”. “Guarda come ti amano, guarda come ti ricordano, anche oggi. Non c’è bisogno del 25 novembre, succede sempre, ogni giorno, in ogni angolo. A ogni bambino che sceglie la 10 di Maradona, a ogni straniero che arriva a Napoli solo per una foto al Murales di Diego, quando la squadra vuole dedicarti una vittoria e ogni volta che allo stadio intonano un tuo coro, sventolano la tua bandiera. Tu sei il cuore pulsante della città, un punto di riferimento per chi ama questi colori e continua a volerne il meglio”. Un sorriso prende forma sul lato del viso ed è quasi tempo di andar via. Prima però, un ultimo ritornello: “O ssaje comme fa ‘o core a me, quand’ s’è ‘nnamurato” e quando incontra la Mano de Dios non può far altro che vibrare nel ricordo di quello che è stato e per sempre sarà.





